Un'infanzia nazista
Diario 'scioccante', 'evocativo e sconvolgente', 'una memoria unica e inquieta da leggere assolutamente', 'un libro sporco'. Questi i giudizi con cui fu accolta negli Stati Uniti l'uscita di "Un'infanzia nazista". Uscito originariamente in versione censurata nel 1983, e pubblicato postumo nella sua versione integrale, "Un'infanzia nazista" ritrae la Germania e il Terzo Reich con gli occhi di un bambino straordinariamente sensibile. Winfried nasce nel segno dell'inquietudine, del senso di colpa. Eppure è un bambino fortunato. 'Ero un vero bambino ariano', scrive nell'incipit del prologo. Biondo, proporzionato. Una famiglia felice, che lo battezza e lo cresce come la cultura nazista impone. Ma, quando la guerra imperversa, tutte le percezioni di sicurezza e normalità di Winfried, rispetto alla propria famiglia e al proprio Paese, si sgretolano, lasciando il posto a paura e caos. Il padre, figura fondamentale, arruolatosi ufficiale nelle SS nel '42, sparirà in Russia, dopo aver inviato, soprattutto al figlio, lettere accorate. La Storia monta secondo un'orditura in cui il piccolo Winfried stenta a orientarsi: prima, lo straziante scontro tra gli occhi del bambino - oggettivamente felici, anche se fin dall'inizio 'troppo' ricettivi - e quelli dell'adulto che racconta il sé bambino - inevitabilmente tristi, pensando all'Epilogo finale -; poi, mentre incombe la catastrofe, lo sguardo si fa freddo, 'chirurgico', apparentemente asettico, quasi anestetizzato. Infine, la memoria celebra l'arrivo degli americani. E qui si gioca di nuovo il dramma di un'antitesi senza soluzione: la brutalità dei liberatori, quindi i bombardamenti a tappeto sui civili, lo sterminio - anche 'solo' psicologico - attuato sui tanti bambini come Winfried, non impediscono al bambino che si guarda intorno - è l'estate del '45 - di scoprire, un nuovo senso di perdita. Le istantanee di un'apparenza di vita, gli americani, i salvatori, il trambusto: tutto finito. Per il bambino, sedotto dalle macchine, dal gasolio, dalle sigarette, dal chewing-gum, "il vecchio palazzo federale davanti a lui, le sue finestre, le sue porte, erano gli occhi aperti di un giardino dell'Eden ormai vuoto".
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