Nostra classe dirigente (La)

Nostra classe dirigente (La)

A Riccione su un fondale pseudo-felliniano, la morte entra in scena con il suo bagaglio di riti e di obblighi. Riccione è pure il luogo dove circa mezzo secolo fa, il protagonista ha passato le sue vacanze post-belliche e di recente come giornalista, è tornato per un'inchiesta sulla "Uno bianca". Sono ab initio i tre momenti cruciali di un'indagine personale che provoca la scomparsa del padre amato: i confronti generazionali, l'affiorare dei ricordi propri e familiari quasi a certificare la verità del passato, e infine la vita e il lavoro, ancorati a eventi spesso terribili, ma anche a rapporti di amore e di affetto. Forse la generazione di Paolo Guzzanti sarà l'ultima capace o volente di fare un bilancio con la storia, la propria privatissima storia, che è strettamente congiunta a quella pubblica e civile della vita italiana. Ed ecco che, come da un cassetto confuso di vecchie foto, se ne estrae a caso una e poi un'altra, così la memoria del narratore trascorre da un episodio all'altro apparentemente alla rinfusa, in realtà rilevando le connessioni che il dolore, con le sue sensazioni crudeli, suscita.Si veda come un tema importante e molto sentito da Guzzanti, quale il razzismo, sia abilmente trattato tra la violenta cronaca odierna e l'evocazione della Shoah degli ebrei romani nel 1943, passando per la propria esperienza di diversità minima, quella di chi ha i capelli rossi.Il romanzo si apre e si chiude con la morte del padre, che diventa subito un campo semantico di attese e riprove, che, attraverso rimorsi e agnizioni, porta all'inevitabile "catastrofe", o più semplicemente sconvolgimento, bilancio: quello della coscienza, quando sopravviene il tempo in cui i giorni sono contati, un conto alla rovescia impreciso e irreversibile, come ci insegna il più celebre incipit dantesco.
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