«Attè ti picchia, Luigi?». Quasi un diario di quotidiana follia dall'ultima scuola speciale
Peter Pan aveva scelto di crescere. I protagonisti di questo libro (li hanno chiamati con i nomi più diversi: idioti, imbecilli, matti e, più recentemente, handicappati mentali) non possono crescere e, anche da adulti, avranno sempre bisogno di qualcuno. Sono esseri strani, mostruosi - no, oggi è di moda chiamarli 'diversi' - che una volta venivano gettati dal Monte Taigeto a Sparta, o dalla Rupe Tarpea a Roma, e che fino a pochissimo tempo fa venivano rinchiusi in fortezze chiamate 'scuole speciali' più per non disturbare il paesaggio che per dar loro un'educazione specializzata. Oggi di loro si parla, si formulano ipotesi scientifiche, si descrivono i casi clinici: e il 'caso' non è che l'astrazione di un ideal-tipo che ha perso carne e sangue per diventare asettica parola. Qui la parola ridiventa carne: la storia dei ragazzi della scuola Treves non è descritta, ma narrata in uno stile asciutto e senechiano, velato di amara ironia. Ogni storia comincia in una sorta di comicità festosa, e finisce quasi sempre in un pugno nello stomaco che, più che far male, fa pensare. "Atté ti picchia, Luigi?" è la storia vera di una scuola speciale, l'anticamera dei matrimoni di un tempo, un ghetto dei folli, un'ultima fortezza che cala il ponte elevatoio - tradendo il silenzio e la disgrazia dei folli abitatori - e si mostra a tutti. Con ironia, con l'umorismo che Pirandello definiva "il sentimento del contrario", con la simpatia, nel senso greco del "soffrire insieme", di chi con i matti ha vissuto e solo ora ne ha parlato. Perchè, malgrado le apparenze, questa è una storia a lieto fine.