Croste
Nina rifiuta l’avanzare del tempo: i corpi in corsa verso il disfacimento, le pesche marce, l’intonaco che si sfalda. Eredita una cantina ma non sa che farsene di quella stanza stipata di scaffali che arrugginiscono. Ci trova dentro scarti, memorie fisiche e psichiche che non le appartengono, ma che portano il suo stesso corredo genetico. Nina ha perso un amico, una gatta, un ragazzo e soprattutto il senso della continuità; eredita la cantina come si eredita una mancanza. Nina ha la testa piena di parole che non riescono a comporre la risposta ai suoi tanti interrogativi, né a identificare un momento da cui far partire il tutto. In una vita in cui gli inizi sono il momento più felice, c’è sempre un prima, a volte mai vissuto, a cui si dovrebbe guardare con nostalgia. Usando una scrittura affilata e cristallina La Fauci costruisce una trama frammentata, in cui frantumi di vita diventano oggetto di un’analisi quasi clinica, rivelando l’estraniazione della protagonista nei confronti dell’esistenza. Croste è un processo di bonifica, un libro sulle cose che marciscono, le cose di cui non ci si è presi cura, la lacuna che deve essere abitata.