L' alito delle ombre
C'è in queste pagine scabre, tese e pur traversate da una musica ferma, la scena della dimissione di un uomo dalla vita, o meglio una specie di estrema scoperta: «qualche volta mi sono sentito re di Roma/ ed ora sono un passeggero senza biglietto e senza meta». Oppure, come dice altrove: «forse ho capito cos'è la demenza». Spinta da varie forze, tra cui il lutto e altri neri disincanti, la vita che il poeta ritrae addosso a sé, e che ha «incontrato il suo destino», non è più che muta vanvera, nessuna attesa, nessuna preghiera (anche se l'esergo biblico di Bob Dylan, che indica lo stesso vento di cui parla Leopardi ne l'Infinito...), bestemmie silenziose. E però una necessità, ancora, di dirsi. Come in un osso di seppia che rechi un messaggio fossile, come uno strappare ancora il silenzio che è sola voce della sventura. La poesia di Miniello sa spogliarsi di ogni vanità in questo diario illacrimato, micidiale e crudo, senza cessare d'esser poesia. Perchè la poesia in fondo è la scoperta della vanità di ogni vanità. «Il cuore dell'uomo ha sempre fame/ ma si perde nell'intrico dei sentieri». (Davide Rondoni)
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