Ultime e Penultime
Non esiste probabilmente scrittore nella nostra recente tradizione che possa essere paragonato, per vigore narrativo e densità concettuale del congegno formale, al palermitano Antonio Pizzuto (1893-1976), cui va riconosciuto uno dei progetti letterari più ambiziosi e coinvolgenti del secondo Novecento. Autore dalla vocazione tarda (o piuttosto dal lungo apprendistato: la prima opera di grande respiro edita a suo nome, il romanzo "Signorina Rosina", apparve solo nel 1956), Pizzuto ha condotto nei successivi vent'anni di febbrile attività letteraria un'opera di svecchiamento e, al contempo, di potenziamento dell'istituto stesso della narrazione. L'opera bifida che qui si ripresenta, "Ultime e Penultime" (cento 'pagelle' in tutto, apparse per la prima volta postume nel 1978, ma bruttate da errori e refusi, sanati ora dalla puntigliosa edizione critica di Gualberto Alvino), rappresenta il capolavoro dell'estrema 'petrosa' fase pizzutiana ("passionalità a 80 anni, roba da ridere!", glossava con la consueta autoironia l'autore in una lettera a Gianfranco Contini), quella in cui il fare narrativo cospira alla chiamata in causa del lettore, invitato a divenire corpo stesso della narrazione. La straordinaria capacità che ognuna di queste 'pagelle' ha di starsene in sé come "un essere di sensazione e nient'altro" (Deleuze e Guattari), come insomma un intero universo possibile sortito da memorabili gesti quotidiani e concreti, dà dunque al lettore la possibilità di vivere l'incredibile abbraccio concettuale e sentimentale con cui Antonio Pizzuto ha saputo mettere a risuonare con delicato umorismo il mondo. Edizione critica di Gualberto Alvino. Nota per l'ultimo Pizzuto di Gianfranco Contini.
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