A caccia in Paradiso. Arte di corte nella Persia del Cinquecento
Raffinate figure in fastosi paesaggi, eleganti arabeschi in sontuosi tappeti in seta, ricchi decori in metallo su preziosi scudi reali caratterizzano uno dei più straordinari periodi della lunga e gloriosa storia dell'arte dell'Iran. La mostra "A caccia in Paradiso. Arte di corte nella Persia del Cinquecento" illustra l'arte di un importante periodo della cultura persiana, quando si affermò la dinastia safavide all'inizio del XVI secolo, in un panorama di profondi cambiamenti politici. Breve ma significativo fu il regno di Shah Ismail (1501-1524), fondatore della dinastia: il suo governo fu caratterizzato dall'unificazione di gran parte dell'Iran, dopo secoli di divisioni e di dominazioni straniere. Nei manoscritti miniati e nei primi manufatti in metallo realizzati in quel periodo si manifesta già con chiarezza il nuovo stile safavide, una sintesi dei precedenti stili sviluppati presso le corti turcomanne e timuridi a Tabriz e a Herat. Shah Tahmasp, figlio di Ismail, incoraggiò lo sviluppo di una eccezionale, complessa estetica, comune alle diverse espressioni artistiche della corte, che comprendeva i manoscritti riccamente decorati, le fastose legature, i lussuosi tappeti. Tutto ciò durante la prima metà del suo regno - dal 1524 fino a tutto il quinto decennio del XVI secolo - quando vennero realizzati i più bei manoscritti che il mondo abbia mai conosciuto. Le pagine dallo 'Shahnama' di Shah Tahmasp e dalla 'Khamsa' di Nizami, entrambe in mostra, testimoniano il gusto raffinato che Tahmasp e i suoi fratelli introdussero nella produzione artistica di corte. La seconda metà del regno dello shah fu caratterizzata dal progressivo 'irrigidimento' dei suoi principi religiosi e dalla sua crescente indifferenza nei confronti dell'espressione artistica: la capitale venne trasferita da Tabriz a Qazvin e il mecenatismo artistico fu parzialmente sostenuto dal nipote dello shah, Sultan Ibrahim Mirza, e da altri membri della corte. L'accresciuto disinteresse di Shah Tahmasp per le arti rappresentò certo una perdita per la cultura persiana, ma il trasferimento dei suoi artisti fu una benedizione per la giovane corte moghul in India e per quella ottomana in Turchia. [...] (Dalla Premessa)
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