Sul limitare
In questa città di mare, Villombra Cedrina, c'è tutto quanto si trova davvero in un piccolo centro dell'Adriatico poco dopo il 2000. Ci sono deliranti assessori alla Cultura, ci sono palazzinari aggressivi, ci sono festival problematici e chiacchiere infinite sotto gli ombrelloni dopo pellegrinaggi rituali a supermercati babilonici e a mercatini gozzaniani. Ma Villombra Cedrina sembra anche tratta da una linoleografia di Leo Longanesi, con la quiete intrigante dell'eterna provincia italiana e i suoi misteri venefici, i suoi nefandi scheletri ben chiusi in tanti armadi. All'inizio di un'estate, il professor Lelio Dabormida, che si è dimesso dall'università e ha divorziato dalla moglie, arriva a Villombra per vivere lì dove poté godere tante estati da ragazzo, nella villetta in stile littorio che ha appena ereditato da una zia. Conosce due studentesse avvolte in un vitalismo comunque erotico, appassionate della cultura del cibo come del cinema o della pittura, e gode di questa amicizia liberatoria. Ma, a poco a poco, la Storia e il Mito avvolgono l'estate di Villombra Cedrina liberando antichi mostri, ritrovando il buio nefasto di antichi orrori, ricalcando le orme sanguinose di antiche nequizie. Il professor Dabormida si trova proprio di fronte alle memorie censurate, ai bordi dei pozzi oscuri ove la vecchia melma riappare con i miasmi che le ville deliziose, i lunghi viali di platani e la striscia azzurra del mare sembravano avere per sempre esorcizzati. E allora Lelio, che tutto è costretto a conoscere, a vedere, a capire, si ritrae volutamente, non procede, resta intenzionalmente sul limitare. Non si può sfidare davvero il Mito, non si possono davvero conoscere le suburre della Storia: dal limitare si vede tutto, ma si può anche tornare indietro. E quelle due ragazze appartengono al Mito o al Quotidiano?
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