Calle Bucarest 187, Santiago del Cile

Calle Bucarest 187, Santiago del Cile

Calle Bucarest 187 è l'indirizzo dove Patricia Verdugo abitava con i genitori e i fratelli, a Santiago del Cile. Una tazza di tè non bevuto fu l'ultima traccia della presenza del padre, Sergio Verdugo, in quella casa. All'apparenza si era trattato di un futile incidente: il sindacalista Sergio Verdugo si era recato dal ministro dell'Istruzione per una faccenda che riguardava licenziamenti nell'edilizia scolastica. L'alto ufficiale aveva "alzato la voce e aveva dato un pugno sul tavolo"; Verdugo se ne era andato sbattendo la porta. Solo dopo, nel raccontare l'accaduto in famiglia, aveva confessato i propri timori: "Mi ammazzeranno... mi ammazzeranno". Era il 1976, a tre anni dal golpe di Pinochet, e in Cile la dittatura stringeva una morsa di terrore attorno a chi non era allineato con il regime militare. Le squadre della morte lavoravano a pieno ritmo e migliaia di persone scomparivano nel nulla. Patricia scriveva allora per "Ercilla", una rivista democratico-cristiana, una delle poche rimaste in circolazione seppur controllata dalla censura. Stimata e protetta dal direttore, Patricia in quegli anni era tra le migliori penne di "Ercilla", riuscì perfino a ottenere un'intervista con Lucia Hiriart, la moglie di Pinochet. Ma molto più numerosi e più importanti furono gli articoli che non poté scrivere e le scottanti inchieste che fu costretta ad abbandonare. Così, quando dal fiume Mapocho fu estratto il cadavere del padre, dovette soffocare il proprio grido di dolore. Ma è da quel dolore che è nata questa testimonianza. Che riguarda la sua vita ma anche quella del suo popolo. E se all'epoca di quei tragici avvenimenti la giovane giornalista si era trovata obbligata a svolgere il 'lavoro sporco' di evitare un Iinguaggio scomodo e ribelle, adesso, in questo straordinario e toccante recupero della storia del suo Paese, la Verdugo non omette più un solo fatto, un nome, una data, affinché tutto ciò che è stato appaia nero su bianco ai lettori di oggi. Con la convinzione, maturata attraverso una vita tormentata e combattiva, che ricordare è un atto sacro. Ed è anche un atto sovversivo.
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