Ballata levantina

Ballata levantina

Su Fausta Cialente, dopo un periodo di notorietà e perfino di successo, sancito da un Premio Strega, nel 1976, è sceso uno sbrigativo silenzio, ancor prima della morte avvenuta in Inghilterra nel 1994. Probabilmente, schiva e appartata, e sempre altrove, rispetto ai luoghi dove si costruisce il peso e il ruolo letterario, deve essere apparsa come un'effimera presenza alle lettere, quasi una collezionista di dagherrotipi su rimembranze cosmopolite e su cronache familiari. Basta leggere le più recenti storie letterarie, come se la sbrigano con lei, in due generiche righe, in confronto al posto riservato ad altre scrittrici come Elsa Morante o Anna Maria Ortese, mantenute in carriera da un accorto entourage critico-editoriale. Molti lettori e studiosi, però, sono convinti che la Cialente sia una delle voci più importanti della narrativa italiana del secondo Novecento e che l'inattualità di ieri costituisca ragione di uno sguardo equivoco, simile a quello che si getta casualmente su alcune foto ingiallite, straziate di pena, perché fermano senza restituzione qualcosa che è irrimediabilmente perduto. C'è anche questo, nell'esoticità familiare della scrittrice, ma è secondario, è lo sfondo naturale su cui proiettare i suoi personaggi e la loro ansia combinatoria; che è quella di una narrazione tesa a ricostruire un altrove di solitudini, distanziate sempre, soprattutto in questo romanzo, "Ballata levantina", fin dal titolo esplicativo, nel brulichio di colori, di profumi, di luci accecanti e di ombre lunghe. Come in Conrad. Il romanzo, apparso per la prima volta nel 1961, nelle edizioni Feltrinelli, viene riproposto oggi, emendato da alcuni errori di stampa e di trascrizione dall'arabo; e corredato inoltre da un'introduzione dello scrittore Franco Cordelli, il primo a rimediare a un ingiusto oblio, e da una postfazione del musicologo e scrittore Paolo Terni, nipote tra l'altro della Cialente. (P.G.)
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Recensione del libro fornita da lottavo.it

Di Valentina Di Cesare

Straniera dappertutto: si definiva così Fausta Cialente, come a ricordare a se stessa quanto il destino del peregrinare da una città all’altra senza mettere mai radici in alcun luogo, la inseguisse sin da bambina, forgiandole così carattere e temperamento, e condizionando in gran parte, la sua storia umana e dunque di scrittrice. Ma straniera forse, anche perché, Fausta Cialente conosceva...

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