Said il pescatore
Quando agli inizi degli anni Cinquanta questo romanzo apparve in Italia non fu letto con l'attenzione che meritava. Le peripezie di un povero pescatore arabo animato solo da un'incrollabile e semplice fede in Allah apparvero come una divertente parafrasi di tanta letteratura orientale, soprattutto de "Le mille e una notte" con il suo copioso bacino favolistico. E così si può leggere, ancora oggi, lasciandosi incantare dal turbinoso succedersi delle strabilianti avventure e mirate avversità del suo protagonista, così come succede con i racconti che prolungano la vita della principessa Sherazade. In realtà, a metà del secolo scorso, il lettore italiano viaggiava poco, il turismo di massa non esisteva, e dell'Oriente anche vicino non aveva che scarse e imprecise nozioni. A tal punto che l'editore di allora non ritenne neppure utile informare chi fosse realmente l'autore del romanzo e quale devota ammirazione e volontà didattica si celassero dietro l'esemplare vicenda che lo scrittore narrava con l'entusiasmo e il piacere di chi vuole conquistare neofiti alla propria causa. Perché dietro quel curioso nominativo mistilingue si cela un purosangue British, convertitosi all'islamismo e diventato per i musulmani un personaggio mitico, un soldato dell'islam, per tutte le attività culturali volte a far conoscere quella religione e quella civiltà, tra cui la traduzione integrale del Corano.
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