Dead end. Ediz. a colori
Tra i tanti costrutti umani il confine figura senz'altro tra quelli più impattanti nella vita delle comunità e sulla demarcazione della geografia terrestre. Quello tra Stati Uniti e Messico è senz'altro paradigmatico, e perciò ampiamente documentato, oltre che esplorato dal cinema e dalla fotografia. Il volume Dead End di Nicola Moscelli prova ad osservarlo diversamente. Come? Intersecando la vista stradale, arbitraria della spazialità "Pegman" con altrettante direttrici materiali (storica e letteraria ad esempio) che ne espandono la definizione. Il confine non è solo un tratteggio superficiale o amministrativo bensì tessuto vivo innervato di relazioni che ne aumentano la trama e la comprensione. Il libro stesso è disegnato per accogliere tale reciprocità e il lettore può così attraversare a piacimento il confine. Dead End, vicolo cieco, reca il titolo. Se ne contano a migliaia di queste "vie" che terminano bruscamente. Moscelli ne ha mappate moltissime, in comune hanno il retrogusto di una storia interrotta, di una magia sospesa, di un senso che si perde nel nulla. L'autore restituisce loro una prospettiva con incursioni testuali, citazioni e approfondimenti. Completano la visione le letture di Maceo Montoya, Miriam Ticktin, e Steve Bisson. L'indagine apre ad un metodo che si appropria di reperti visuali e scorie computazionali per rilanciare il confine come dispositivo interpretativo, concettuale e ottico. Benvenuta alla neo archeologia "scopica" che impiega le immagini come fossili della memoria sociale.
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