La prospettiva come «forma simbolica»
"Attraverso la trasposizione dell'oggettività artistica nel campo del fenomenico, la concezione prospettica sbarra ogni accesso per arte reliposa alla regione del magico, nel cui ambito l'opera stessa compie il miracolo, e nella regione del dogiuatico e del simbolico, nel cui ambito l'opera testimonia, o preannuncia, il miracolo. Ma dischiude per essa una regione completamente nuova, la regione del visionario, nel cui ambito il miracolo diventa un'esperienza iminediatamente vissuta dello spettatore, poiché gli eventi soprannaturali irrompono nello spazio visivo apparentemente naturale che gli è proprio e gli permettono così di "penetrare" realmente la loro essenza soprannaturale; inoltre la concezione prospettica dischiude all'arte religiosa la regione dello psicologico nel senso più alto, nel cui ambito il miracolo avviene ormai nell'anima dell'uomo raffigurato nell'opera d'arte; non soltanto le grandi fantasmagorie del barocco - preparate in ultima analisi dalla Sistina di Raffaello, dall'Apocalisse di Diirer e dalla pala di Isenheim di Grunewald, anzi, se si vuole, già dall'affresco di San Giovanni a Patinos in Santa Croce a Firenze, opera di Giotto -, ma anche le tarde opere di Rembrandt non sarebbero state possibili senza la concezione prospettica dello spazio, la quale, trasformando la oùoia [realtà] in gaevù tfvov [apparenza], sembra ridurre il divino a un mero contenuto della coscienza umana, ma insieme amplia la conoscenza emana sino a renderla capace di accogliere e contenere in sé il divino. Non è pertanto un caso che questa concezione prospettica dello spazio si sia imposta due volte nel corso dello sviluppo artistico: la prima volta come segno di una fine, quando venne meno l'antica teocrazia, la seconda volta come segno di un inizio, quando sorse la moderna antropocrazia".
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