Diari

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L'angoscia, la vulnerabile sensibilità, il carattere sempre insoddisfatto nel valutare i raggiungimenti della propria arte espressi da Boccioni nei "Taccuini" (1907-1908), con l'adesione al futurismo del 1910 si incanalano in una direzione rivoluzionaria, a lungo invocata dall'artista. "Ora comprendo la febbre, la passione, l'amore, la violenza delle quali si parla quando si dice creare!" scrive nel 1911. "Ma perché prima non era così? Forse ero così; ma i dolori e gli scoraggiamenti mi trattenevano a terra. [...] Come comprendo le parole di Marinetti: nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro!". Non abbiamo l'aiuto dei taccuini autobiografici per comprendere Ie ragioni di questo cambiamento, perché l'artista li interrompe nel 1908, in epoca prefuturista. Alla scrittura autobiografica Boccioni tornerà nel 1915, con il "Diario di guerra", quando l'avventura del futurismo sembra non soddisfarlo più. Scrive infatti nel 1913 all'amico Vico Baer: "Quest'anno il passo, interiormente, è stato enorme! Sento in me un'anima nuova, una coscienza temprata a un continuo divenire e la forza di un lavoro inestinguibile". Riemerge la sua inquietudine, la sua sete inappagata di una creazione intesa romanticamente come meta titanica: "Costruire, costruire, creare! Creare fino alla consumazione! Ma sono ancora troppo borghese, accademico, lento e compassato! Sento un furore rabbioso di rovesciare, di squassare, di violentare, d'assaltare, di ferirmi, tagliarmi, sanguinare! Ci vuol della follia! Della follia delirante! ". Tra i "Taccuini", e il "Diario di guerra" non c'è collegamento così come non c'è, per ßoccioni, possibilità di comunicazione tra arte e vita. Troppo totalizzante rimane per lui l'esperienza creativa per confonderla con la vita, e quel nuovo che si prefigge nell'intimità dello studio e che già esprime negli sfoghi appassionati dei "Taccuini" non trova mai una risposta definitiva. (Dallo scritto di Gabriella Di Milia)
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