Buoni e cattivi del Risorgimento. I romanzi di Garibaldi e Bresciani a confronto
Nel 2011 si celebrano i 150 dell'Unità d'Italia. Il libro di Paolo Orvieto vuole offrire un contributo a questa riflessione, attraverso lo studio puntuale di alcuni romanzi composti nel momento più "caldo" dell'età risorgimentale da due campioni degli opposti schieramenti, Antonio Bresciani e Giuseppe Garibaldi. Fra i "teocratici" più oscurantisti, il padre gesuita Bresciani fu autore, su commissione di Pio IX, di una oggi quasi sconosciuta trilogia di romanzi (L'ebreo di Verona, La Repubblica Romana, Lionello), in cui vediamo miscelarsi ingredienti da feuilleton con violenti anatemi propagandistici contro i pericoli "rivoluzionari": giacobini, illuministi, romantici, settari, massoni e, soprattutto, socialisti, comunisti e la volgare plebaglia. Contraltare a tutto ciò è la risposta del mitico "eroe dei due mondi", Garibaldi, del quale pochi oggi conoscono la tetralogia di romanzi in polare antitesi alla trilogia del Bresciani (Cantoni il volontario, Clelia. Il governo dei preti, I Mille, Manlio), in cui il degenerato protagonista è sempre un gesuita, gli eroi positivi sono invece fieri e leali garibaldini, affiancati da valorose eroine spesso trasformate in "guerrigliere". Al di là delle posizioni ideologiche, l'analisi di Paolo Orvieto porta all'attenzione del lettore moderno un momento estremamente interessante del nostro Risorgimento, ripercorrendo le pagine ormai dimenticate di due protagonisti che furono anche romanzieri non privi di nerbo e vigore letterario.
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