Briganti in Romagna. Secoli XVI-XIX
Nel Cinquecento il volto della Romagna violenta, affermatosi con le prime Signorie, si degrada all'estremo: essa diviene la provincia "scellerata", nella quale "gli uomini sono comunemente disonesti, maligni, et non conoscono l'onore". Così scrive Giovanni Guidiccioni, il vescovo lucchese presidente della Romagna, convinto che per tenere appena a freno "questi cervelli diabolici e terribili bisogna sempre minacciar di cavezza e mannaie": dai tiranni facinorosi e crudeli, ma pur sempre illuminati da una luce eroica, si giunge alla figura del Romagnolo degradato a "delinquente", "sicario", "homicidiale". In questo orizzonte, si fa terribile la pressione dei briganti, alle cui violenze lo Stato della Chiesa non sa praticamente opporre nessun freno. Per i secoli che vanno dal Cinquecento al pieno Ottocento, all'esterno delle mura cittadine si distendeva un mondo pericoloso, battuto da ladri e assassini, che rendono insicure le case, pericolosissime le strade, difficili i traffici e i commerci: una storia che tocca il suo vertice estremo nella figura del Passatore.
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