Luoghi persi (I)
Tempus fugit, si sa, senza apparente rimedio: ma Umberto Piersanti, con l'ostinazione dell'amore, nel suo libro forse più compiuto e commovente, insiste con tenacia a cantare - per dirla con Carlo Bo - le sue personali Georgiche (per nulla elegiache), celebrando con la forza della poesia i "luoghi" delle origini, nel tentativo di salvare le umili "cose" della campagna delle Cesane (e le persone amate, la memoria della nonna su tutte) dalla furia devastatrice del tempo. Come il miglior Pascoli, anche Piersanti, narrando di sé e delle sue esperienze familiari, parla in realtà di tutti noi, almeno in parte: il percorso poetico alla ricerca delle origini appenniniche e contadine dispiegato nei Luoghi persi con passione e vitalità per nulla idillica, mira a ricordare (e ricordarci) la speranza che le cose, per quanto inevitabilmente travolte dall'inesorabile scorrere dei giorni, se recuperate dall'esercizio della memoria poetica, non siano semplicemente state, ma restino incise nel nostro sangue oltre che nel ricordo, non come semplici fantasmi ma in qualche modo immortali.