Il pane di Sarah
Molto tempo fa, in una notte di settembre, il terremoto si abbatté su Gerusalemme. Nel caos generale sbucò una donna immensa e bionda aggiogata a una carrozza: a possenti falcate attraversò la città odiata, ne varcò i confini e s'involò per sempre nell'oscurità della campagna. Trascinava via con sé il marito furente e imbavagliato, due figli piccoli e una striscia di 'levandura', il lievito madre "che respirava come un neonato", in grado di generare il pane, di alimentare la vita e il futuro. Così il protagonista e voce narrante di questo romanzo rievoca il singolare esodo verso i luoghi della sua infanzia e della sua giovinezza, la fatidica Valle dove i genitori costruirono la casa attorno al cuore pulsante di un forno. Tornato in Israele dopo trent'anni, il ragazzo di un tempo - che in America è un fortunato scrittore di libri di cucina - ritrova i vivi e i morti della sua famiglia, che descrive in una storia appassionata, ricca di suggestioni e di realismo magico, profondamente umana e insieme piena della forza e del fascino di un racconto epico. In un'avvincente galleria sfilano il padre Abraham, querulo vecchio che ha una metafora per ogni suo male fisico; la perduta madre Sarah, titanica, passionale e fanciullesca; 'tia' Dudutch, dall'unica mammella tuttora bramosa di lattanti; il fratello Yaakov, panettiere; Leah, sua moglie, che dalla morte del figlio ventenne è imprigionata in un cupo letargo, e l'angelico Mikhael, il bimbo nato da quel sonno, su cui sembra aleggiare un destino oscuro... Storie nella storia, racconti allusivi a metà tra la fiaba e la leggenda trasfigurano e prefigurano le sorti dei personaggi, come se solo la finzione letteraria fosse in grado di reggere il peso della verità. Destinato al ruolo di spettatore e di testimone - come del resto la nipote Romi, che fotografa ogni cosa -, il protagonista affida alla scrittura il compito di eternare e interpretare il ricordo, di dare un senso all'esistenza.
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