L'irrealtà quotidiana
A quattro decenni dalla sua pubblicazione, scrive Giovanni Raboni nell'Introduzione, "L'irrealtà quotidiana" non ha perso nulla della sua dirompente unicità, della sua strepitosa capacità di sconcertare il lettore. "Di che cosa esattamente si tratti fu questione non poco dibattuta nel corso di quel 1966 che vide, oltre alla comparsa del libro, anche il suo annunciato e tuttavia, alla resa dei conti, non incontrastato trionfo al Premio Viareggio (...). Alla fine si fece strada la formula del 'saggio romanzato': definizione tutto sommato accettabile e, almeno in parte, tuttora utile a patto di rendersi conto che dopo i romanzi per così dire tradizionali e persino vagamente neorealistici pubblicati da Ottieri prima d'allora "L'irrealtà quotidiana" ha segnato per lui una svolta decisiva, un autentico punto di non ritorno. Da quel momento in poi, voglio dire, nessuno dei suoi libri (...) sarebbe più stato classificabile dentro un unico genere." Sono parole che segnalano il carattere davvero cruciale di una delle opere più controverse e significative di Ottiero Ottieri, un libro che fu definito da Andrea Zanzotto "violento, sacrificale, intimativo". L'esemplarità dell'"Irrealtà quotidiana" risiede proprio nella qualità che ha contraddistinto anche la produzione successiva di Ottieri: quel coraggio, ricorda ancora Raboni, "con cui entrambi, opera e autore, assumono su di sé, somatizzano, fisicizzano, trasformano in propria carne e proprio sangue" il dibattito e il confronto di idee che per altri rimangono su un piano più astratto. E oggi, a quasi quarant'anni dalla sua prima apparizione, "L'irrealtà quotidiana" mantiene intatta tutta la sua forza ideologica, la sua piagata corporeità, la sua dolente unicità.
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