Satire
Racchiusa nell'arco di tempo che va dal 1517 al 1524, l'esperienza artistica delle "Satire" rappresenta un passaggio fondamentale del percorso che porterà Ariosto alla terza e conclusiva redazione dell'"Orlando Furioso": proprio sul terreno di questi componimenti in terza rima, autentici capolavori di affabile immediatezza, il poeta ferrarese sperimenta le forme del suo "sermo pedestris", in un delicato e sorvegliatissimo equilibrio tra quotidianità dei temi e delle forme tipiche del parlato, e il massiccio ricorso alla tradizione letteraria, sapientemente occultato dentro l'ordito apparentemente dimesso di vicende biografiche, dialoghi serrati, apologhi e censure. Che si tratti di rivolgersi agli amici lontani in Ungheria, di ripercorrere i suoi guai passati come segretario sottovalutato del cardinale Ippolito d'Este, di apprezzare il margine di autonomia che il nuovo lavoro gli consente, o ancora di chiedere consigli a Pietro Bembo per trovare un adeguato precettore per il figlio o infine di riflettere sui vantaggi e svantaggi del prender moglie, Ariosto sa trovare spunti di arguta e disincantata riflessione. Le sette "Satire", dirette a parenti e amici, col loro pacato andamento dialogico, mostrano un Ariosto confidenziale e autoanalitico, che, partendo da casi spiccioli, arriva a contemplare le debolezze degli uomini con occhio benevolo e tollerante, e recupera, accanto ai modelli decisivi dell'Orazio 'satiro' e di Dante, proprio una serie di motivi e nuclei tematici riconducibili a esperienze e forme espressive fra loro divergenti: dalla 'comicità' del "Decameron" all'epistolografia di Seneca e di Petrarca, da Lucrezio al "Roman de la Rose", puntualmente illustrate nel commento qui allestito che sfrutta con intelligenza l'intera produzione saggistica relativa all'opera per proporre un inatteso profilo di Ariosto. La lettura proposta individua alcune linee di progressione e logiche interne che strutturano il "libro" ariostesco e garantiscono la coesione di componimenti tanto eterogenei: ne emerge un continuo e ribadito antagonismo dell'autore con il mondo contemporaneo, una necessità polemica di ritrovarsi intorno ai concetti classici della 'virtù' e del 'decoro'. Anche il tema amoroso, sempre affiorante dal tessuto satirico, è riproposto in chiave di 'follia' connaturata nell'uomo e però disciplinabile, quand'anche con fatica, entro l'arduo riconoscimento della propria 'humanitas' debole e fallibile, nel quale si stemperano , con saggia ironia, la polemica e l'acredine.
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