Operaio (L')
L'operaio apparve in Germania nel 1932, un anno prima dell'avvento di Hitler, suscitando entusiasmo, furore e scandalo. Mentre i più tardi capolavori di Junger filtrano nel lettore una cristallina magia che fa emergere spazi atemporali, L'operaio affonda il coltello dell'analisi negli olocausti incandescenti della prima guerra mondiale e nella tragedia socio-economica del dopoguerra, assumendo le sembianze di un saggio politico. E' un equivoco curiosamente simile a quello in cui incorsero i lettori di Machiavelli. L'operaio è così poco legato al momento storico in cui fu scritto, e tanto meno alle scelte politiche avvenute in Germania in quegli anni, da risultare per metà interamente smentito dal corso degli eventi, e per l'altra metà paurosamente profetico. La tecnica, che lo spirito liberal-borghese del XIX secolo credeva docile e dominabile, strumento di progresso e democrazia, è invece forza mortifera che trasforma e distrugge. L'individuo borghese e romantico ne è stato stritolato. Suo successore più degno sarà l'operaio, figura svincolata da ogni connotato di classe o di stato sociale, che dominerà la tecnica trasformandola in forza costruttiva. L'operaio, scrive Junger, si è già rivelato in parte, come combattente, nella grande guerra, e il lavoro è più che mai combattimento: ecco perché, in queste pagine, ai brulli e devastanti campi di battaglia descritti nelle Tempeste d'acciaio si sovrappone, più spettrale e mostruosa, l'immagine del mondo sconvolto dalla tecnica. Qualità eccezionale del libro è la riduzione a zero di ogni ideologia. Per Junger, l'operaio è l'unica figura che possa avere con il mondo un rapporto non utilitario o consolatorio, ma reale. A un mondo ancora dominato da forze informi, egli imporrà il dominio della forma. Anzi, l'operaio è la forma superiore. L'analisi di un rapporto reale impone a Junger assoluta verità, e perciò crudeltà. Per questo, L'operaio è uno dei libri più crudeli del nostro secolo.
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