Mio zio il giaguaro
Quando qualcuno che arriva da lontano onora una casa con la sua presenza, di norma lo si festeggia adeguatamente mettendogli a disposizione quanto possa rendere più gradevole il suo soggiorno: è il principio basilare della sacralità dell'ospite a imporlo fin dalla notte dei tempi, in tutte le civiltà e a qualsiasi latitudine. Ecco perché quando un povero indio che vive isolato in una misera capanna sperduta nel cuore della foresta amazzonica si imbatte, un giorno, in uno straniero, presumibilmente bianco e civilizzato, smarritosi per misteriose ragioni nell'aspro sertao brasiliano, non può che adempiere ai suoi doveri di ospite condividendo con il visitatore le sole cose disponibili in quell'impervia regione di frontiera: un tetto, fiumi di acquavite per rinfrancarsi il cuore e una storia che serva a riempire le ore. Mio zio il giaguaro, straordinario tour de force del grande scrittore brasiliano, è proprio questo: il lungo racconto, la drammatica confessione che un povero cacciatore di giaguari offre al suo occasionale ospite in una notte delirante e alcolica, la storia di sangue e di morte in cui il giaguaro, da animale braccato, si è progressivamente trasformato in amico, in parente e anche in amante, fino alla completa identificazione e alla metamorfosi ferina dell'uomo. Un monologo sofferto e balbettante che, lungi dal raccontare solo la progressiva metamorfosi di un uomo in giaguaro, la registra, la assorbe, la vive, restituendocela mediante i segni impuri della scrittura, grazie a una straordinaria esuberanza linguistica, che celebra la ferocia ma anche la bellezza di un mondo in cui la natura e le pulsioni più ancestrali dominano anora incontrastate.