E morì a occhi aperti

E morì a occhi aperti

Il corpo di un uomo di mezz'età massacrato con sistematica brutalità viene rinvenuto in un cespuglio, gettato come spazzatura. Un omicidio apparentemente inspiegabile: mentre gli rompevano le ossa a una a una, sembra che la vittima, Charles Staniland, abbia assistito con passiva rassegnazione alla propria morte. A Londra, casi del genere, sordidi e insignificanti, sono pane per la A14: Sezione Delitti Irrisolti. Comincia così il primo romanzo del sergente senza nome, nessuna velleità di carriera, ma un interesse acuto, quasi morboso, per coloro che dalla vita sono stati calpestati e sconfitti: con una discesa desolante nelle paludi di una tragedia individuale, sullo sfondo del più ampio scenario tragico delle degradate periferie londinesi. Un'indagine anomala, condotta attraverso l'ascolto dei nastri su cui Staniland ha registrato il proprio itinerario verso la fine. Gli sfileranno davanti una selva di personaggi ordinari e meschinamente malevoli, usciti direttamente da una quotidianità possibile. Il sergente si cala nelle riflessioni di Staniland al punto da perdere di vista la motivazione della sua indagine; si inoltra in una profanazione della memoria che lo porta a rivivere alcune dolorose tappe della vita del morto, per poi ricongiungersi, in un crudele abbraccio, con i suoi carnefici. Perché con Derek Raymond il noir deraglia dai percorsi classici dell'indagine poliziesca, per diventare un'analisi lucida e impietosa dell'esistenza, nelle sue derive inesorabili e crudeli, nella grigia assenza di ogni meta plausibile. E allora è proprio il movimento di identificazione con la vittima a consentire di ricostruire l'universo delle sue scelte, fino a vedere la verità attraverso i suoi stessi occhi aperti.
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