Pater familias. Romanzo di ragazzi napoletani
Caro Castelvecchi, un evento di cronaca nera - la morte violenta d'un ragazzo, un "ragazzo di vita" per dirla con Pasolini - mi ha fornito lo spunto per scrivere il presente romanzo. Un evento reale, sebbene trasfigurato alla luce d'un più generale proposito letterario e rappresentato secondo i canoni (a me molto cari) della letteratura verista o realista o neorealista. Il linguaggio è colorito, a tratti approssimativo, vicino alla lingua parlata, al gergo, al dialetto. Epperciò colmo di figure, di voci, di modi, riproducenti l'esperanto sub-popolare che si ode scorrendo la cellula vitale e un po' subdola della strada. L'impianto scenografico è quanto mai vago, generico (e questo contrasta in parte, ma solo in parte, l'ideale verista di partenza): una provincia napoletana gretta, retriva (quasi come non ne esistono più). Napoli-città fa da corona. Alta, bella, maestosa, una città dai molteplici risvolti: la grande matrona che impera coi suoi antichi monumenti, naturali o artificiali. La magnifica casba. Voglio, infine, soffermarmi sul titolo. Ho pensato (orientativamente) alla formula latina "Pater familias" perché mi sembrava dirimente.
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