Processo a Henry Kissinger
Anacarsi lo Scita, uno dei sette sapienti dell'antichità, amava dire che le leggi sono come ragnatele: abbastanza forti per catturare i deboli, troppo deboli per trattenere i forti. La triste verità è che la storia sembra avergli dato ragione. L'uomo del secolo appena trascorso che meglio di ogni altro lo dimostra è forse Henry Kissinger, fra 1969 e il 1977 assistente alla Sicurezza Nazionale e segretario di Stato USA, e Nobel per la pace nel 1973. Christopher Hitchens, in questo sconvolgente atto d'accusa, fondato su testimonianze oculari e su documenti declassificati del governo americano, sostiene che Kissinger si sarebbe reso responsabile o complice di fatto del massacro di tre milioni di uomini, donne e bambini in Vietnam e in Cambogia; della morte di mezzo milione di innocenti in Bangladesh; dell'invasione di Timor Est, che portò al genocidio di duecentomila persone; dell'instaurazione della dittatura di migliaia di cileni, e di molti altri crimini contro l'umanità. La drammatica denuncia di Hitchens mette a nudo il fallimento del diritto internazionale e l'ipocrisia di un Occidente sempre in cerca di nemici ma incapace di fare i conti con il proprio passato. In "Processo a Henry Kissinger", Hitchens si augura di vedere lo statista americano rispondere alla Corte Penale Internazionale; ma allo stesso tempo spiega i motivi profondi per cui questo, molto probabilmente, non accadrà mai.