Me ciamava per nome: 44.787. Vierundvierzigtausendsiebenhundertsiebenundachtzig. Risiera di San Sabba (I)
"Siamo in pochi, la generazione sta andando. Però la nostra Risiera potrebbe anche essere un punto di riferimento, d'incontro, di solidarietà." Con queste parole, pacate e civili, si chiude l'atto unico in uno smorzato silenzio, il silenzio della commozione e della memoria, prima che gli applausi rompano il diaframma tra il presente e il passato. E' quello che avvenne nel luglio del 1995, alla presenza di migliaia di spettatori, quando fu celebrato il Cinquantenario della Liberazione all'interno della Risiera di San Sabba, a Trieste. Lì, fra il giugno del 1944 e la fine della guerra, furono uccise e cremate dalle tremila alle cinquemila persone, colpevoli soltanto di essere di etnia diversa o di professare idee politiche differenti da quella nazifascista: sloveni, croati, italiani ed ebrei. E questo testo teatrale, vera e propria messa in scena di numerosi documenti, non è altro che la testimonianza dei pochi che sopravvissero allo sterminio e alla deportazione. Ma è soprattutto il contributo dell'autore "alla sua idea di decontaminazione di quell'edificio le cui fondamenta sono scese al centro dell'inferno". Il testo, nato in quell'occasione celebrativa - cui presero parte fra gli altri Giorgio Strehler, Moni Ovadia, Paolo Rossi e Omero Antonutti - è stato poi portato con successo in altri teatri, principalmente alla presenza di un pubblico di studenti. Ma con innumerevoli ostacoli. Per la sistematica opera di rimozione del nostro recente passato i giovani sembrano vivere la memoria storica come un ramo su cui stanno seduti. I documenti su cui si basa la riduzione di questo testo, segnalazione speciale al Premio Riccione per il teatro, nascono dalla raccolta degli storici triestini Marco Coslovich e Silva Bon dell'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia.
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