Eroe negato. Omosessualità e letteratura nel Novecento italiano (L')
Come in molti altri Paesi occidentali, anche in Italia la letteratura omosessuale appare segnata da un'ombra che separa, sfumando in gradazioni crepuscolari, la chiarità della consapevolezza da un'indistinta idea. Gnerre riscrive completamente un suo lavoro di vent'anni fa e acutamente si addentra in una fitta cronaca di riferimenti, partendo dagli inizi del Novecento per arrivare alla contemporaneità e, poiché cultura letteraria e storia politica raramente coincidono o si accordano, rivela con perspicua attenzione quanto il confine della liceità o il freno dell'autocensura non siano facili a definirsi nello stesso modo e tempo. Se Palazzeschi giocava a nascondino o Saba alludeva, Comisso raccontava le sue orientali delizie e Penna cantava i bianchi orinatoi. E tutto questo in pieno regime fascista; e poi in quello democristiano, dove se Pasolini nel 1955 finiva sotto processo con "Ragazzi di vita" e Coccioli pubblicava all'estero il suo "Fabrizio Lupo", Arbasino pochi anni dopo scriveva "L'anonimo lombardo" (1959) senza scrupolo alcuno. Riletti oggi, alcuni testi dei lontani anni Trenta, come "Salmance" e "America primo amore" di Soldati, rivelano insondate valenze; altri ancora più 'antichi' coprono di veli allusivi verità sussurrate. Soltanto negli utimi trent'anni l'eroe negato conquista un'affermazione che lo toglie dal ghetto (almeno letterariamente) e che, di conseguenza, finirà col decretarne la fine, perlomeno come simbolo. E' un processo che si perde nel tempo, anche se Gnerre prudentemente definisce il campo italiano soltanto del Novecento, ma con uno sguardo critico attentissimo ai contemporanei, da Pier Vittorio Tondelli a Walter Siti, da Mario Fortunato a Matteo B. Bianchi.
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