Ingratitudine (L')
I morti, per il fatto di essere divenuti meno umani e soprattutto meno fragili dei vivi, possono dall'oggi al domani vedersi riconoscere più intelligenza, talento, virtù , dunque più valore che in vita. Disprezzati, non abbastanza o malamente amati, cancellati dalla distrazione o dall'eccesso d'amore altrui, rischiamo di vivere nell'invisibilità, di non arrivare mai a noi stessi, di non imparare a riconoscerci e ad amarci per ciò che siamo. Ed ecco che l'estremo sacrificio di sé, il suicidio, la teatralità muta della morte, si delineano come sola possibilità vitale, come grido, rivendicazione, manifestarsi della propria non più equivocabile e singolare umanità.Sono queste le tesi sostenute con lucida ferocia ne "L'ingratitudine", straziante monologo d'amore e rivolta che una figlia rivolge alla propria madre. Scritto in una prima persona straniante - sappiamo infatti da subito che la protagonista si è tolta la vita per punire chi gliel'ha data e annegare così la madre nel gelo del rimorso e del rimpianto -, questo romanzo affronta con durezza e senza sentimentalismi il grande e complesso tema del "difficile" amore tra madre e figlia.Sullo sfondo, la Cina contemporanea, in bilico tra valori tradizionali e nuovi modelli di comportamento. Un vetriolico atto d'accusa nei confronti dell'istituzione familiare e di una società che non ha saputo lavorare sulle contraddizioni del privato e sulla fissità dei sentimenti.Era dai tempi de "La pianista" di Elfriede Jelinek che non si leggeva un testo letterario altrettanto esemplare sulla mortifera simbiosi madre-figlia.
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