Ragazzi di Berlinguer. Viaggio nella cultura politica di una generazione (I)
C'è in Italia una generazione di militanti politici - certamente alcune centinaia di migliaia di persone - che nei primi anni Settanta entrò nella Fgci perché c'era Berlinguer. Perché il leader del Pci era il volto e la voce del maggior schieramento d'opposizione operante nel Paese.Quella dei ragazzi di Berlinguer era una generazione che aveva visto i fratelli maggiori - quelli del '68 -occupare le università, sfilare in corteo per le città, costituire gruppi dove si citavano le massime di Mao e si sventolavano striscioni con le immagini del Che.il Pci - nelle aule universitarie e anche davanti ai cancelli delle fabbriche - era accusato dalle forze extraparlamentari di essere molle, revisionista, riformatore. Eppure furono in tanti, in quegli anni turbolenti, a scegliere di aderire alla Federazione dei giovani comunisti italiani. C'è chi lo fece da subito e chi dopo una qualche militanza in questo o in quel gruppo: emergevano i "figiciotti", così denominati con qualche sprezzante diffidenza da chi, nel loro ingresso in politica, aveva colto l'irrompere di un curioso mix di spirito riformatore e idealismo, di antiestremismo e di utopia. Su tutti questi ragazzi, qualunque fosse la loro storia personale, e l'intima convinzione che li portò a un impegno destinato a durare nel tempo sino a farne un momento rilevante del rinnovamento della vita pubblica italiana, operò poderosamente il carisma essenziale e sobrio di Enrico Berlinguer.Questo libro, scritto da Pietro Folena - uno dei giovani "ficiciotti" approdato a incarichi di rilievo nel Pds e protagonista di importanti dibattiti sui temi dello Stato e della Giustizia - con il contributo, nella ricerca delle fonti e negli allegati, di Umberto Gentiloni Silveri, non è certo la storia di quella generazione.