Chiamala febbre
Se la poesia è fare qualcosa di intimo in pubblico, come è stato scritto, qui il poeta, fin dalla potente quanto disarmante "Dichiarazione" iniziale, si assume pienamente la responsabilità di ciò che scrive e prende atto dello stato delle cose senza alcun falso pudore, dichiarando: "la mia vita oggi è un fascio di fradicie sterpi / e le vespe ci fan nido / che la mia vita è tasche sfondate, letti sfatti / giorni dal respiro troppo corto / o smagato". E sa "di non essere atteso, neppure spiato". Eppure i suoi versi, che ben sanno di non poter salvare il mondo, né di doverlo fare, da un lato assorbono magneticamente il ritmo della migliore poesia italiana di oggi, dall'altra non dimenticano la cronaca e il cicaleccio dei media sempre più invadenti e strumentali, della loro narrazione politica e sociale assordante e incomprensibile. No, non sta bene, il poeta. Non può. E non sta bene il mondo vociante che il poeta si porta faticosamente sulle spalle. "La gioia sempre si annuncia / poi non viene".