A Mosca l'ultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984
Febbraio 1984. Chi deve accompagnare Berlinguer a Mosca, per i funerali di Jurij Andropov? L'ultima, tenue speranza di riforma del comunismo sovietico si è consumata attorno alle spoglie del timido innovatore. I suoi funerali a Mosca si annunciano già come un presagio simbolico del possibile crollo imminente dell'orso sovietico. Berlinguer, che ha sempre difeso l'idea della riformabilità del comunismo, sente quella morte a Mosca come un estremo segnale. Intanto in Italia, proprio in quelle settimane, le cose stanno precipitando. Il governo Craxi si accinge a firmare il decreto di San Valentino sulla scala mobile: un gesto di inequivocabile rottura a sinistra, che sospingerà definitivamente il Pci verso lo scontro. Questa volta, a Mosca - annuncia Enrico in Direzione - lo accompagnerà Massimo D'Alema, il giovane segretario regionale della Puglia, che è stato a capo della gioventù comunista. Sul volo di Stato che porta a Mosca Sandro Pertini, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer, e due alti prelati, D'Alema sale per ultimo, portando con sé un piccolo taccuino. A venti anni di distanza, quel taccuino ritrovato è l'occasione per un esercizio della memoria. Ed è il clima politico e umano di quell'ottantaquattro ad essere al centro di questo libro, lucido e ironico, ma al tempo stesso sorprendentemente caldo e appassionato. Alla base c'è il rifiuto di una presentazione manichea dei tratti della personalità di Enrico Berlinguer: la tensione morale contro la capacità di iniziativa politica; la seriosità e il carisma contro la bonomia e l'allegria, la fedeltà ai principi contro lo spirito di innovazione. Non fu così, racconta D'Alema: la forza di Berlinguer, anche in quegli ultimi mesi che conobbero il tragico epilogo di una morte quanto mai teatrale e simbolica, fu nella capacità di saldare i differenti tratti della sua personalità attorno a un'ispirazione unitaria, a quell'umanità tutta politica che fu la sua cifra inequivocabile. Si consumava, in quell'anno punteggiato di tanti e dolorosi addii, anche la definitiva iniziazione di D'Alema alla politica: "Eravamo più soli e, improvvisamente, adulti. Finiva una lunga, forse troppo lunga giovinezza".