Carlo Levi. Gli anni fiorentini 1941-1945
Il Comitato costituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per le celebrazioni del centenario della nascita di Carlo Levi si è dato come programma quello di illustrare i periodi relativamente meno noti dell'attività dell'artista. L'intento è stato quello non solo di arricchire le conoscenze su un personaggio centrale nella storia della cultura del Novecento, ma anche quello di correggere una lettura ormai divenuta uno stereotipo, che ha fatto di Carlo Levi essenzialmente un protagonista del dibattito sul meridionalismo. Le due mostre che sono state progettate, quella aperta a Torino in maggio sul periodo parigino di Carlo Levi e questa di Firenze sul periodo della guerra e della Resistenza vissuta da Carlo Levi nel capoluogo toscano, hanno consentito di illustrare il ruolo di Levi nel complesso reticolo di relazioni personali con l'ambiente degli intellettuali francesi intorno al 1930 e con quelli che vivevano a Firenze nei primi anni quaranta, mettendo in luce contesti di grande interesse per comprendere il suo impegno pittorico e politico. Le ricerche che hanno portato alla mostra torinese hanno tratto dagli archivi una ricca e nuova documentazione sui rapporti, le discussioni e le influenze reciproche che formavano il complesso ambiente intellettuale parigino. La mostra fiorentina si è poi avvalsa di una notevole quantità di opere di pittura finora sconosciute e del ritrovamento di un corposo fondo archivistico di lettere ricevute da Carlo Levi fra 1941 e 1945 e conservate dalla famiglia dell'amico pittore Giovanni Colacicchi, cui Carlo Levi le aveva affidate lasciando Firenze per Roma. Ne esce un ritratto articolato, che mostra una continuità significativa di riflessione politica e di tensione culturale, che avvicinano la sua adesione a Giustizia e Libertà e la sua ricerca in campo pittorico. "La ereditaria incapacità ad essere liberi,... la paura della passione e della responsabilità", che gli parevano fare del fascismo il frutto organizzato di una tradizione storica italiana (come scrive nella seconda lettera dall'Italia del 1932), saranno ribadite in "Paura della Pittura" del 1942, in cui si identificano "il terrore fondamentale e primordiale, la paura del mondo e della vita: la Paura della Pittura" con la perdita di "consenso delle cose e dell'artefice" espressa dall'individuo limitato, e perciò incapace e timoroso di esistenza e di libertà, dall'individuo "per cui non esistono passioni e il mondo diventa estraneo". (Dalla Presentazione)
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