Racconti fantastici. La leggenda di Sleepy Hollow e altre dieci storie inquietanti
Padre fondatore del genere del racconto moderno, Washington Irving è stato il primo dei narratori americani ad essere annoverato tra i classici della letteratura inglese, dando un contributo decisivo a quella indiscussa primazia che in questo ambito seppe assicurarsi la 'nuova' America di primo Ottocento. Maestro americano per eccellenza, Irving non fa nulla per nascondere i suoi forti debiti verso il folklore europeo, da cui preleva le sue storie, per riambientarle nel nuovo contesto e trasformarle in altrettante figure emblematiche della modernità. È il caso dei racconti di questa raccolta - la prima in traduzione italiana a prefiggersi un intento organico - dove storie e leggende del vecchio mondo si mescolano alle paure e alle aspettative di una nazione 'in fieri', con uno stile che fonda, e per più versi anticipa, alcuni tra i motivi caratteristici della letteratura fantastica e della fantascienza. Racconti fantastici o, forse ancor più, racconti di fantasmi. Irving è perfettamente consapevole del suo programma di scrittura: inventare un passato e dei fantasmi per un paese che crede di poter fare a meno dell'uno e degli altri, di potersi autorappresentare come tutto nuovo, assolutamente razionale. Così, il fantasma senza testa di Sleepy Hollow diventa la metafora di un'origine rivoluzionaria, di una società di uguali, di uno Stato senza centro e senza sovrano. Allo stesso modo, il lungo sonno di Rip Van Winkle esorcizza il passaggio traumatico della Rivoluzione, e insieme quello dell'età adulta e dell'etica del lavoro produttivo, che intanto si sta impossessando della nazione americana. E il cranio sepolto nelle paludi del New England è lo spettro nascosto della caccia alle streghe, del genocidio degli indiani, della schiavitù. O ancora, l'invasione della Terra da parte dei 'lunatici', con le loro avveniristiche armi spaziali, non è altro che la ripetizione, declinata al futuro, della 'scoperta' dell'America. Si ha come la sensazione che questo percorso di conquista di una consapevolezza e di una identità più complesse, a nome e per conto dell'America, sia condotto da Irving con la leggerezza di un gioco, affidato alle strampalate figure dei suoi straniati narratori, chiamati a inventare, come per caso, la fantascienza e la storia orale. II fatto è che Irving gioca davvero, perché sopra ogni cosa dominano in lui il gusto del raccontare, il piacere del linguaggio, il suggerimento trasgressivo e l'esplorazione narrativa di un paesaggio ancora letterariamente tutto da scoprire.