Paesaggio e architettura nell'Italia contemporanea
Questo libro non vuol essere né una storia del paesaggio, né una storia dell'architettura: è piuttosto un racconto di quadri mentali e di percezioni visive. La domanda che lo percorre è se davvero esista, come una sorta di fiume carsico che periodicamente torna alla luce, una sottile ma persistente linea del paesaggio che attraversa tutta la cultura architettonica italiana del secondo Novecento. Se sia possibile legare in un unico racconto intessuto di questa parola l'edilizia nuova di Giovannoni e la geografia volontaria di Gregotti, la morfologia di Rossi e l'ambiente di Gabetti & Isola, le preesistenze di Rogers e il luogo di Purini, la legge Galasso e la città diffusa, il De Carlo del Piano intercomunale di Milano e la recente fascinazione per non luoghi e infrastrutture. Se anzi si possa fare di tutto questo un tratto caratterizzante la declinazione italiana dell'architettura, quasi che 'per natura' la forma e lo spessore del territorio italiano chiamassero l'architettura italiana a una riflessione specifica, a un confronto altrove rinunciabile, con la storia e l'ambiente sotto forma di paesaggio. Nel caso dell'Italia contemporanea, il paesaggio sembra affiorare all'attenzione ogni volta che una cultura architettonica, che si vuole moderna, prova a misurare la propria distanza rispetto ai reali processi di modernizzazione. La 'finestra' aperta dal paesaggio si apre così su luoghi che l'architettura non riconosce, dal quali non è riconosciuta, nei quali non si riconosce: l'Italia che ricostruisce le proprie città dalle macerie della guerra, l'Italia delle campagne spopolate verso le periferie industriali, l'Italia che scopre i consumi di massa nel primo boom, la 'terza' Italia dello sviluppo diffuso e del particolare.
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