Lettera ai disperati sulla primavera
Nel 1938, in un'estate che vedeva diffondersi avvisaglie di guerra un po' in tutta Europa, Jean Giono scrisse la sua "Lettera ai contadini sulla povertà e la pace", ma qualche anno prima in un appunto del suo diario si era ripromesso di scrivere altri pamphlet, e uno di questi, mai venuto alla luce, doveva essere una "Lettera ai disperati sulla primavera". Giuseppe Conte, parecchi anni dopo, decide di farsi carico di quella che è rimasta un'idea sulla carta riprendendo alcuni temi che condivide con lo scrittore francese: il legame con la terra nel suo senso più vasto e profondo di Madre Terra, e un concetto di cultura come espressione di vera energia spirituale, animata dalla passione per la bellezza, l'autenticità, la fratellanza. Il testo di Giuseppe Conte - poetico e ribelle, appassionato e profetico, visionario e coraggioso - è un manifesto letterario e politico, in cui si identificheranno non solo coloro che hanno conosciuto la disperazione in qualsiasi forma essa possa presentarsi, ma anche tutti quelli che non si arrendono, che odiano l'omologazione, che sono alla ricerca della propria individualità e credono ancora nella dimensione politica come necessaria al genere umano, e soprattutto coloro che osano ancora pronunciare la parola "speranza" e rifioriscono a ogni primavera.