Lettera ai contadini sulla povertà e la pace
In questo vibrante e poetico scritto, troviamo nella sua forma più limpida e completa il pensiero morale che guida tutta l'opera di Jean Giono, l'autore dell'"Uomo che piantava gli alberi" e dell'"Ussaro sul tetto": la superiorità della natura sulla tecnologia, la salvezza dell'uomo attraverso un lavoro naturale, la celebrazione dell'indivudualismo spinto fino all'anarchia. Scritto alla vigilia del secondo conflitto mondiale, questo accorato appello costituisce un tentativo disperato da parte di Giono di opporre le armi della semplicità, del buon senso e della poesia a un mondo che stava evidentemente prendendo la direzione opposta: quella del profitto e della guerra. L'appello, com'è ed era ovvio, non fu ascoltato. Rilette a più di mezzo secolo di distanza, le parole che Giono indirizza ai suoi 'amici' fanno pensare a una grande occasione perduta, nell'ultimo momento in cui forse era ancora possibile non compiere la svolta che avrebbe cancellato per sempre il modo di vivere, la cultura e la saggezza dei contadini. L'ultimo momento in cui i contadini sapevano ancora "far festa", vivevano "alla misura dell'uomo", conoscevano "l'abbondanza di una ricchezza commestibile destinata a soddisfare l'appedito di tutti i sensi" e "quella povertà che è la ricchezza legittima e naturale: la gloria dell'uomo". Mai come oggi si è cominciato a riconsiderare quella svolta, e mai come oggi questo scritto di Giono si presenta attuale e urgente, se è vero che non è mai troppo tardi, e che nella mente e nelle mani dell'uomo non esiste solo il potere di distruggere, ma anche quello di crearsi la felicità.