L'Italia dell'Italia. Coscienza e mito della Toscana da Montesquieu a Berenson
"E' un peccato che vi sia chi muore senza vedere una finestra dipinta antica con la luminosa luce italiana che l'attraversa" esclama Nathaniel Hawthorne (il celebre autore della Lettera scarlata) visitando nel giugno del 1858 il Duomo di Firenze. Un entusiasmo, quello dello scrittore americano, tutt'altro che isolato; contagioso, anzi, se si pensa che proprio in quegli anni e grazie a testimonianze illustri come questa, Firenze e la Toscana si affermano definitivamente nell'immaginario internazionale come l'Italia dell'Italia, il luogo nel quale maggiormente si esalta l'equilibrio tipico della penisola tra arte, natura e civiltà umana. Non era, però, sempre stato così. Ancora mezzo secolo prima, smanioso com'era di raggiungere Roma e Napoli, Goethe aveva dedicato a Firenze appena tre ore del suo famoso Viaggio. I percorsi non sempre lineari attraverso i quali la Toscana esce da quell'"angolo del mondo" in cui si trova Montesquieu agli inizi del Settecento e diventa nel nostro secolo, con i Warburg e i Berenson, il simbolo forse più alto della capacità creatrice dell'individuo moderno, sono l'oggetto di questo volume. Senza dimenticare quanto complesso sia l'intreccio tra la vocazione simbolica universale di questa terra e il suo destino nazionale, che con molta retorica e ancor maggiore ambizione i padri del Risorgimento affidarono al mito della "Atene d'Italia".
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