Alle nostre deboli tracce
Serrato e ossessivo contrappunto tra dolcissime, tragiche evocazioni, soglia friabile tra la vita e la morte, "vagabondaggio nel vuoto", "urto di onde impietose", registro di sconfitte o disperate speranze, sfilata rituale di pensieri amari come autoflagellazioni, intarsio tra rintocchi luttuosi e desideri esasperati di fare almeno "un po' d'ordine nel cuore", confessione e impossibile esorcismo, atlante di un vastissimo paese di ombre, rosario di lacrime troppo copiose per essere sparse, manuale di esercizi spirituali per custodire l'amore "nel centro del nulla", scommessa sulla forza vitale del dolore e sul "sollievo" di non dimenticare, altalena fra carezze e miraggi, tra lucidissime ipotesi e "folli" vaneggiamenti, "Alle nostre deboli tracce" muta la propria forma mentre lo percorriamo. Spesso la voce dell'autore si schiude, tremando, a impossibili imperativi, richieste, preghiere a chi non può più sentirlo: "vieni in sogno almeno a perdonarmi"... Altre volte la voce s'impenna in immagini forti, dure come pietre scagliate contro il cuore del vuoto: "tutti i miei libri stasera hanno occhi lucidi di febbre"... Come ci ha insegnato una volta per sempre Baudelaire, la bellezza "moderna" si nutre di male, morte, colpe, corruzione, delirio. Osservato sotto questo profilo, anche il libro di Valli Fassi appare profondamente, dolorosamente bello. Prefazione di Paolo Lagazzi. Fotografie di Agnès Spaak.
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