Storia del PSI nel centenario della nascita-Il padre
Dopo varie raccolte di versi salutate da una viva attenzione critica, il percorso di Ottieri compie ora un salto ulteriore, affrontando, con il tema della cronaca politica, una tappa inattesa e distante dalle precedenti. Ma il lettore non tema: penna alla mano, lo scarto cui lo invita e lo guida questa nuova prova è un'occasione per arricchire un ritratto così mobile e vario. Se nelle altre opere campeggiava l'immagine di una nevrosi sfibrante, di una modernità estenuata, in quest'ultima regnano le figure del partito e il padre. Regnano, tuttavia, come l'autorità può regnare in Ottieri, ossia con compassione, ironia, nostalgia. Nella "Storia del PSI nel centenario della nascita", l'autore cita nomi e azioni di personaggi reali, immerge il suo rapporto con i comunisti in un ambiguo clima familiare, descrive la sezione cui appartiene come una "residenza cognitiva-emotiva". Ciò che sorprende in questo testo è il modo in cui, quasi per vasi comunicanti, l'ingorgo analitico si risolve in disagio sociale, e, viceversa, il collasso del partito si traduce in crisi d'identità personale."Il padre" prolunga questo monologo sghembo e torrenziale, e accentua la pressione di una lingua cantilenante, una litania dove termini aulici e desueti si uniscono a un parlato dimesso, volutamente prosaico. Un quadro interpretativo freudiano in un ambiente deformato dallo snobismo: partendo da questo assunto, l'autobiografia si muta in un oggetto ibrido ed inquietante, a metà strada fra orgogliosa rivendicazione, delirio e autodafé.
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