La retorica delle puttane
L'opera che qui si presenta del ribelle e infelice Ferrante Pallavicino, decapitato non ancora trentenne dopo un'esistenza avventurosa sotto l'accusa d'irreligione e immoralità, è da sempre considerata un repertorio di oscenità, e perciò relegata nell'inferno delle biblioteche erotiche e galanti. La curatrice dimostra come Pallavicino non proponga la cultura dell'osceno a scopo di spasso o di infrazione, ma come mezzo per colpire più in alto. La polemica non si limita al fatto d'indirizzare precetti tenuti in grande onore a un discepolato di così bassa lega. La retorica evocata dal titolo ha un contorno preciso: è quella che stava al centro del programma pedagogico perseguito dalla Compagnia di Gesù e che conosceva allora la sua età dell'oro. Lo prova il fatto che l'impianto stesso dell'argomentazione puttanesca svolta da Pallavicino ripete punto per punto quello adottato dal manuale scolastico che la "ratio studiorum" aveva raccomandato a tutti i collegi della Società: il "De arte rhetorica libri tres" dello spagnolo ed evidentemente gesuita Cipriano Suarez. Il testo di Pallavicino va dunque ascritto, nonostante la viscida materia, al genere raffinato delle parodie, e, lì dentro, alla sua variante più avanzata, quella che volta in dileggio propositi e temi investiti del più alto rispetto. L'alterazione viene consumata col scegliere nel gran filone della letteratura dell'osceno, dai classici greci e latini agli umanisti e agli eredi volgari dell'Aretino, i motivi più eccessivi e applicarli allo schema non meno longevo d'una teoria che risaliva ad Aristotele attraverso Quintiliano e Cicerone. Sul piano letterario l'autore seicentesco ricalca dunque il gran modello in materia, l'Aretino. Ma è un confronto a oltranza. Se l'Aretino aveva declassato il genere nobile del dialogo sostituendovi alle speculazioni sull'amore ideale quelle sull'amore mercenario, Pallavicino ripete l'oltraggio, ma ne allarga l'effetto...
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