Angelo di pietra (L')
La vita- dell'individuo, della donna, del Canada, del mondo- è al centro di questo grande romanzo, anche se si parla continuamente della morte, a partire da quell'angelo di pietra che campeggia nel titolo e nel cimitero della cittadina canadese. Tutta la narrazione è una precisa e struggente radiografia della condizione di chi, come la più che novantenne Hagar, alla morte si va avvicinando. Ma alla morte l'indomita Hagar si accosta con furia e cerca di sbarrarle il passo. Lo fa ribellandosi- tutta la sua vita è stata una ribellione-a chi vuole mandarla nella casa di riposo che della morte è annuncio e preludio. Lo fa col suo sarcasmo, la sua spietata e brusca franchezza, il suo anticonformismo, la sua ultima fuga dalla casa in cui vive col figlio e la nuora. Lo fa tornando col pensiero alla propria storia, una storia dura, aspra come la regione delle praterie canadesi in cui si è svolta, percorsa dal dolore per la perdita di un figlio, dalla povertà, dalla solitudine, dai frammenti d'amore che hanno, solo a tratti, attenuato l'aridità e il silenzio. Ma pur così difficile e impervia, la vita è un dono cui Hagar non rinuncia, è il solo valore che abbia avuto in sorte. E ripercorrerla significa celebrarla: "Credo che in tutti i miei scritti emerga un senso fortissimo di celebrazione per la vita" dice Margaret Laurence. Tutto va accettato della vita, e l'arte-questo insegna L'angelo di pietra- sta nel cercare di rappresentarla nella sua totalità, senza nulla escludere o raddolcire.
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