Rebecca e la pioggia. Viaggio tra i ciristiani del profondo Sudan
"Il mondo della pioggia comincia di colpo. Lo vedi dall'aereo arrivando dal Mediterraneo. A nord un mare di deserto pietroso, più pietroso del Sahara. In mezzo divaga il Nilo, senza rendere fertile nulla, con una cornice minimale di verde coltivato che diventa istantaneamente sterile. È la terra estrema degli arabi, degli uomini vestiti dalla testa alle caviglie. Il Sudan ha il numero più grande di 'displaced people' del mondo, profughi in guerra tra loro per un pugno di sorgo, per l'accaparramento o il controllo di un fiume di aiuti umanitari che diventano la forma più perversa di 'divide et impera'. Nella regione maledetta del Darfur è esattamente questo che accade. La guerra, di cui nessuno qui ricorda l'inizio, ha inghiottito generazioni. Non ci sono anziani; solo nugoli di bambini, e poi, ovunque, uomini giovani, appoggiati al fucile come fosse un bastone da passeggio, a far nulla. Rosa e Rebecca, le due donne senza corpo, mi portano nell'universo femminile dei dinka. Il fiume delle donne che vanno a lavorare nei campi si gonfia, ma è una fila di gente zoppa, storpia e malformata come in un quadro di Brueghel il Vecchio. Eppure, quei corpi segnati ballano, saltano e cantano. Ridono, soprattutto. E ridendo vincono anche la disgrazia più tremenda. In Africa incontro la gente più bella, più colta, più forte della chiesa. Già a Nairobi, tra i missionari che vivono nelle bidonville mi rendo conto che in Africa il cristianesimo assurge alla più perfetta - quasi letterale - espressione di sé. Noi europei, che abbiamo imposto all'Africa le nostre misure, i nostri meridiani, i nostri dei, noi che abbiamo disegnato la geografia a nostro esclusivo profitto, forse avremmo bisogno di imparare da loro, di farci evangelizzare da queste missioni africane." Con un'intervista di Paolo Rumiz a Monsignor Cesare Mazzolari, missionario comboniano e vescovo di Rumbek e con un contributo di Irene Panozzo.
Momentaneamente non ordinabile