La via di uno soltanto. Visita fantasma dell'atelier di Giacometti
"Nella medina di Fez c'è una strada così stretta che viene chiamata 'la via di uno soltanto'. E la via di ingresso al labirinto, lungo e buio. I muri delle case danno l'impressione di toccarsi, in alto. Si può passare da un tetto all'altro senza sforzo. Anche le finestre si guardano e si aprono sulle reciproche intimità. Se ci si può infilare una sola persona per volta, è ovviamente escluso che ci possano passare gli asini, soprattutto se carichi. Quella strada è ben radicata nella mia memoria come un ricordo vivo. [...] Osservando le statue di Giacometti, ho subito saputo che sono state fatte così, sottili e allungate, per percorrere quella via e persino per potersi incrociare senza problemi. Mi sembra addirittura di avercele incontrate, da bambino. Il cane di bronzo, così lungo, così scarno, radeva i muri, come si dice, con la sua orizzontalità rigida e interminabile, mentre un uomo filiforme camminava e la sua testa oltrepassava i tetti piani, illuminati da una luce forte. La via di uno soltanto era diventata, grazie a Giacometti, la strada per parecchi e gli animali potevano, pigramente, percorrerla come seguendo un filo tra due punti sconosciuti". Non esiste un genere per definire questo libro; se si dovesse inventarne uno, si potrebbe parlare di un breve "romanzo d'arte". Un viaggio affascinante alla scoperta di uno dei giganti dell'arte del Novecento raccontato sul filo della memoria autobiografica, e sostenuto dalla scrittura di Tahar Ben Jelloun.