La città che non c'era. Un racconto molto personale del processo che ha rilanciato l'immagine e lo sviluppo di Torino
Chi torna a Torino dopo tanto tempo quasi non la riconosce più. Chi non c'era mai stato la considera una delle città più belle e vivibili d'Europa. Che cosa è successo? Ce lo raccontano due dei protagonisti di una metamorfosi che non si è verificata in nessun'altra città italiana. Il racconto ha inizio a partire dalla Torino operaia degli anni Settanta e si snoda fino ad arrivare alla Torino delle Olimpiadi e dei 150 anni dell'Unità d'Italia, quando tutto il mondo finalmente può conoscere una città diversa, elegante, capace di usare la cultura come un grande strumento di attrazione. Un filo rosso che unisce la Torino di Novelli, di Castellani e di Chiamparino, con al centro la volontà dei Torinesi di non accettare un declino che sembrava inevitabile. Il simbolo di quella volontà è il Piano strategico che il Comune nel 1998 propose di redigere in modo partecipato. Ne derivò una "narrazione" condivisa di un futuro possibile, in cui la novità più eclatante consisteva nella centralità assegnata alla cultura. Il "caso Torino" dimostra infatti, in modo lampante, che è sbagliato considerare la cultura un lusso da "tempi di vacche grasse". E la cultura la sola capace di produrre contestualmente bellezza e ricchezza. Ma questo è possibile solo se le iniziative culturali sono inquadrate in una strategia di sviluppo complessivo che dia loro giustificazioni e prospettive. Quello che è avvenuto a Torino potrebbe avvenire in ogni città italiana.
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