Gaber, Giorgio, il signor G. Raccontato da intellettuali, amici, artisti
"Spesso mi chiedono cosa abbia significato per me aver conosciuto Gaber, o cosa mi manchi del Signor G. E io non so cosa rispondere. Perché Gaber per me era, come per tutti i figli e più che ogni altra cosa, mio papà. Il papà bellissimo che mi accompagnava a scuola, la persona con cui ho giocato, dialogato, discusso, imparato a vivere. Ho lavorato con lui, vero. Ma anche in quel caso restava, soprattutto, mio padre. Di lui mi manca tutto, e parlarne non è facile. C'è imbarazzo. Però non posso fare a meno di battermi per la sua memoria, visto che ci ha lasciato un'eredità sterminata di opere belle e attuali, di idee che impongono un esercizio permanente del pensiero. Nulla di mio padre era facile. Non era facile guardarlo, con quella sua espressione quasi impossibile da decifrare. Non era facile ascoltarlo né capirlo. E non perché facesse ricorso a un linguaggio inaccessibile: era un uomo piacevole e divertente. Però confrontarsi con lui imponeva, impone, onestà intellettuale; la scelta di preferirsi persona piuttosto che maschera. E non è mai facile accettare chi ci mette di fronte alle nostre finzioni, trasformandosi in uno specchio capace di mostrare esattamente chi e come siamo dentro." (D. Gaber).
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