Ultima volta che sono morto (L')
Strand Hotel, Irlanda. Tre gli uomini, tre le pietre che portano con sé, tre i sentieri che li hanno condotti alla stessa meta. Venerdì 18 aprile, venerdì di passione. Robert è il 'playmaker', "colui che imposta il gioco, che detta le regole": è lui a fare da collante tra le loro diverse solitudini. Che si sono annusate, riconosciute. Attratte. Racconta la sua storia. Racconta col buio, davanti al rumoroso mare d'Irlanda, mente continuano a morire donne. Una ogni notte. Donne con la M. Racconta storie incredibili, da una terra lontana e così intimamente sua da chiedersi se esista, e non sia un luogo della mente. Racconta di Antico, l'uomo che venne dal fiume e ci tornò per scomparirvi per sempre, e nessuno lo vide più: dell'amore tra Cesco e Teresa, profondo e saggio e sano come pochi lo sono: dello straordinario che tutti i bambini sanno vedere nella loro quotidianità; della scoperta del dolore, tanto più grande e irrimediabile quando addirittura ti avvisa, e lo sai che sta per arrivare. Del dover seppellire lo stesso giorno una madre e un amore. Sul fondo della scena, in questo presente dilatato, in uno spazio tra l'immaginario e il reale, continua a dipanarsi una catena di omicidi. E continuano a leggersi lettere. Segni di una passione imperfetta, e quindi da condannare.Massimo Cotto, come un illusionista della narrazione, moltiplica possibilità, echi, nomi, personaggi dentro una trama che si srotola e si riavvolge, come le antiche melodie dell'arpa celtica; intarsia racconti, incunea l'una nell'altra debolezze, fragililà, mancanze. Gli ospiti dello Strand Hotel sono tutti potenziali colpevoli. Nessuno ha un alibi. Nessuno ha nemmeno un motivo. Non è più il tempo di fuggire. Intanto, Robert continua a raccontare.
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