Lettere imprudenti sulla diversità. Conversazioni con i lettori del «Messaggero di sant'Antonio»
Quella della solitudine è una delle paure più sentite da ognuno di noi. Non è solo il timore di perdere chi più ci è vicino, piuttosto, in generale, il timore di essere soli al mondo rispetto al resto degli uomini. E la disabilità è un ottimo "monitor" sociale e antropologico rispetto a questa angoscia diffusa. Infatti una delle cose che impedisce un rapporto paritario tra persone disabili e normodotati è proprio l'immagine intimorita, diffidente che questi ultimi hanno della condizione di disabilità come condizione di solitudine irreversibile. Questa immagine rispecchia perfettamente le altre circolanti sull'handicap, come quella che associa disabilità a sofferenza, o ad assistenza. E come se il rapporto tra disabilità e "normalità" riflettesse la paura diffusa della solitudine, restituendocela in maniera più nitida. Insomma, la disabilità ci spaventa anche perché pensiamo che, semmai ci trovassimo in quella situazione, saremmo "condannati" ad una vita solitaria ed isolata dalle altre persone. E come se, temendo la solitudine, avessimo paura di chi ci sembra vivere appieno quella condizione di totale distacco.
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