Il telescopio di Schopenhauer
In un villaggio da qualche parte in Europa, in un giorno d'inverno in cui imperversa la guerra civile, un uomo sta scavando una buca in un campo mentre un altro lo sorveglia. Lentamente, i due cominciano a parlare. Nel pomeriggio, quando neve e ghiaccio cadono insieme e alcuni abitanti del villaggio sono ammassati in un campo vicino, scopriamo perché i due uomini sono lì, quali sinistri eventi li hanno condotti in quel campo di reclusione e perché la storia della nostra civiltà è inscindibile da quella della violenza. Romanzo d'esordio di un autore "accostabile soltanto ai grandi... come Knut Hamsun, Franz Kafka e Bernard Schlink" (Colum McCann), "Il telescopio di Schopenhauer", come tutti i libri in cui è all'opera la letteratura vera, descrive i fantasmi che aleggiano nella nostra epoca (l'incubo di una guerra civile mondiale, il ritorno dei campi di reclusione, l'assoluta cecità della violenza 'universale') come se costituissero già la crudele e inarrestabile realtà del nostro presente. Come un saluto improvviso, un semplice cenno del capo, la guerra irrompe in queste pagine all'insaputa di tutti, cancellando memorie e mondi, culture, desideri e amori con la semplice legge della devastazione. Con la sua prosa implacabile, dall'"intensità fotografica" (Observer), Donovan mostra come contro tale furia, più di ogni idea o sistema di idee, valga il semplice scricchiolio dei passi, il battito del cuore, la indomabile resistenza di chi vuole restare vivo.
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