Preludio e fuga di Riccardo Klement
«Di uomini come lui ce n’erano tanti e non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali.» (Hannah Arendt) Ricardo Klement è un nome falso, necessario per trovare un nascondiglio provvisorio e attendere il momento giusto, quello della fuga. Per salvarsi la vita ovvero “rinascere” con un’altra identità, però, non serve solo un nome di copertura, ma anche un ambiente in cui potersi mimetizzare, dove si parli la lingua del fuggitivo: il tedesco. Per questo motivo il Sudtirolo è il luogo ideale. E serve inoltre una rete di complicità e protezioni che solo persone che hanno condiviso ideologia e demonizzazione di un unico nemico sanno garantire. E quando queste persone vestono perlopiù l’abito talare, i meccanismi della fuga sono così collaudati che il tentativo ha il successo sperato, non fosse che per un dettaglio: il desiderio irresistibile di sentirsi ancora chiamare col proprio, autentico nome. Il nome di uno dei più noti criminali nazisti. Laddove le ricerche degli storici sono riuscite solo in parte a fare piena chiarezza – lasciando sfumati i contorni di vicende talora incredibili e alimentando ipotesi, congetture e teorie – è la letteratura che prova a gettar luce su episodi oscuri e segreti inconfessabili. Marco Ballestracci racconta così – con la sua consueta prosa incalzante e una potente macchina narrativa – un controverso capitolo di storia contemporanea attraverso un equilibrio mobile tra indagine e finzione, districando i nodi di una trama nascosta, ignorata, per certi versi rimossa, che fa dell’Alto Adige un importante crocevia di destini in un’Europa postbellica da ricostruire anche attraverso l’oblio.