Giovan Francesco e Giovan Battista Lampugnani

Giovan Francesco e Giovan Battista Lampugnani

Dal 1973, anno della ormai storica mostra che si tenne a Palazzo Reale a Milano, moltissimi sono stati gli studi sul Seicento lombardo, tanto che si può dire che in questo ultimo trentennio il profilo artistico del secolo sia stato riscritto quasi completamente. Molte sono state le novità riguardanti le personalità maggiori; accanto ad artisti già ben conosciuti altri nuovi se ne sono aggiunti, come Aloisio de' Reali o Giovanni Maria Arduino, ma soprattutto si sono venute chiarendo molte realtà locali che finora erano rimaste nell'ombra e che si sono rivelate strategiche per rispondere a quesiti rimasti finora insoluti o per colmare lacune importanti delle nostre conoscenze. E' all'ultima serie che appartiene questo volume, frutto degli studi di Vannina Palamidese, coadiuvata per la schedatura da Alessia Alberti e Carol Morganti e concluso da uno scritto di Giorgio D'Ilario. Giovan Francesco e Giovan Battista nascono, rispettivamente nel 1588 e nel 1590, da una famiglia i cui membri per almeno due secoli alternano l'attività di notaio a quella di artista, in un singolare rimando di tradizioni e di ereditarietà. Ma non solo. I Lampugnani vanno e vengono tra Legnano e Milano, alternando continuamente anche la residenza nel borgo natio con quella nel capoluogo. La vita dei due pittori, quindi, che si ricostruisce passo passo per la prima volta in questo volume proprio grazie ai numerosi atti notori stilati dal padre e dal fratello ai quali essi presenziarono in qualità di testimoni, si svolgerà sempre fra questi due poli, in un viavai instancabile, ma sempre assolutamente comune. L'unione tra i due fratelli, infatti, è formidabile e non si esaurisce nel lavoro comune e nella stessa bottega. E' la loro stessa vita che corre su binari paralleli. Artisticamente la loro è una collaborazione che sembra inscindibile, anche se il più dotato dei due, Giovan Francesco, firma talvolta da solo alcune tra le migliori opere che oggi noi conosciamo, come i due grandi dipinti per l'importante cantiere di Santa Maria della Passione a Milano, raffiguranti la Resurrezione e l'Ascensione di Cristo. Nel momento in cui Giovan Francesco si troverà a lavorare da solo per la morte del fratello (1640), e la sua personalità artistica si dovrebbe dunque leggere in modo inequivocabile, scopriamo che essa è ben poco diversa da quella che emerge dai lavori comuni, tanto perfetta e collimante, evidentemente, fu anche la loro comunione di stile. Ripulito il catalogo delle opere da tutto ciò che non era pertinente, il loro stile emerge con chiarezza come un linguaggio colto e pacato, che guarda direttamente ai grandi modelli aurei del Cinquecento lombardo e soprattutto a Leonardo attraverso l'universale Luini. Ai legnanesi ricorsero perciò committenti esigenti, come il cardinal Monti o l'ordine francescano - cui essi appaiono legati sempre da vincoli speciali di servizio e di devozione quando si trattò di avere risultati di sicuro decoro, nei quali la dignità della forma coincidesse con la più rigorosa fedeltà iconografica ai precetti della riforma. La decorazione della Cappella di San Francesco a Trecate o la Sacra Famiglia con san Giovannino di Faggeto Lario, prove di grande eleganza figurativa, ma anche testi densi di metafore liturgiche e mariane, esemplificano perfettamente questo equilibrio fra dottrina e ricerca del bello. L'ortodossia degli schemi, la chiarezza voluta delle composizioni, l'assenza di toni sentimentalmente concitati sembra talvolta che finiscano per contraddistinguere le loro opere con una sorta di arcaismo. Ma è un effetto voluto, proprio nel segno di un mestiere che si mosse sempre tra modernità e tradizione. Per merito di questi studi il posto dei fratelli Lampugnani nella controriforma figurativa assume dunque ora contorni precisi, e il loro ruolo fra i molti pittori che si mossero nella grande diocesi milanese nella prima metà del secolo si delinea come quello di artisti che vollero restare 'classici' in un periodo che classico non fu (dalla Prefazione di Mariolina Olivari, Pinacoteca di Brera, Milano).
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